E’ sempre più evidente l’estrema rilevanza che assumono nel processo e nella ricostruzione degli accadimenti storici, la scienza e le nuove tecniche scientifiche per l’accertamento dei fatti.
Tuttavia, spetta sempre al Giudice il compito di stabilire quale ricostruzione dei fatti- derivanti dall’analisi di un insieme di dati racconti necessariamente a posteriori rispetto al fatto storico che si esamina- possa dirsi vera. Negli ultimi decenni, la tendenza è sempre più quella di ritenere migliore l’ipotesi esplicativa basata sulle conoscenze scientifiche: la scienza fornirebbe, infatti, al Giudice dei dati giudicati quasi infallibili.
Come noto, il Giudice, nel corso del processo, essendo professionista esperto nell’esercizio del diritto ma non di altri campi del sapere, si avvale spesso dell’ausilio di un Perito (nell’ambito del processo penale) o di un Consulente Tecnico d’Ufficio (nell’ambito del processo civile), allorquando la ricostruzione probatoria dei fatti sia talmente complessa da non rendere sufficienti le “nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza” (art. 115, 2° comma, c.p.c.).
Secondo i principi generali che regolano il ruolo degli apporti scientifici nei processi, il Giudice li assume come “veri”, se i criteri e le metodologie scientifiche da cui sono derivati sono considerati consolidati e nella stragrande maggioranza dei casi, si attiene a quanto stabilito dal Consulente esperto da lui nominato.
Tuttavia, vale la pena di esaminare il principio innovativo introdotto dalla sentenza della Corte Suprema statunitense nel 1993 nel caso Daubert vs Merrel Dow Pharmaceutical, che scardina ogni principio precedente e affida al Giudice un compito molto difficile, quasi impossibile.
Il caso riguardava i supposti effetti collaterali sul feto del “Benedectin”, un farmaco contro le nausee in gravidanza prodotto dalla Merrell Dow Pharmaceuticals. La Merrell Dow aveva portato in aula lavori scientifici, sottoposti a peer review e quindi generalmente accettati, in cui dimostrava che non vi erano prove che il loro farmaco causasse malformazioni nel feto. I genitori dei bambini nati malformati, per contestare i dati della Merrell Dow, invece, avevano chiesto ai Giudici di acquisire anche la testimonianza di altri esperti, in grado di portare evidenze scientifiche contrarie, basate su dati non ancora pubblicati, ma che reinterpretavano i risultati ottenuti dalla casa farmaceutica. La Merrell Dow, sulla base di consolidati precedenti (sentenza Frye), si era opposta all’ammissibilità di quel genere di testimonianza: infatti, le prove, essendo state prodotte con metodologie nuove, non riscontravano, all’epoca, l’accettazione generale della comunità scientifica. La Corte, invece, aggirando il principio Frye, aveva deciso di ammettere i testimoni richiesti.
Riassumendo, ciò che la Corte Suprema ha stabilito, innovando il panorama giuridico, è che spetta al Giudice, in quanto custode della legge, avere l’ultima parola sulla validità delle prove richieste dalle parti e assunte nel processo, anche ove esse attengano a una valutazione scientifica.
Si arriva così al paradosso di stabilire che sia il Giudice a effettuare un controllo critico sulla bontà del lavoro svolto da scienziati ed esperti.
Trasportando ora il lettore in Italia, passiamo all’esame della sentenza emessa dal Tribunale di Como nel Maggio 2011 nel caso di una donna accusata per l’omicidio della sorella e il tentato omicidio della madre. Provati, oltre ogni ragionevole dubbio i reati contestati, il GIP dichiarava l’imputata parzialmente capace di intendere e di volere, disattendendo il parere espresso dal Perito da lui stesso nominato ed accogliendo la tesi dei Periti della difesa che voleva la donna affetta da “pseudologia fantastica, disturbo dissociativo della personalità e grave deficit di intelligenza sociale”. Accanto alle indagini psichiatriche di routine, la donna era stata, infatti, sottoposta a test innovativi di vario tipo, che maggiormente avevano convinto il Giudice, che aveva, infatti, deciso di allontanarsi dai risultati ottenuti con metodi classici di comprovata validità a favore di metodi innovativi e ritenuti non adeguati dalla comunità scientifica (si pensi alla supposta presenza del “il gene dell’aggressività” nell’imputata).
Nel caso di specie, il Giudice ha deciso secondo il suo sentire, stabilendo quale, tra i metodi utilizzati per stabilire la capacità di intendere e di volere dell’imputata, fosse il migliore.
Su questo stesso tema si è, poi, espressa la Cassazione in un caso di responsabilità per morte da amianto (caso Cozzini): anche in questa sentenza, la Corte ha ricollocato il Giudice nella posizione di fruitore delle leggi scientifiche messe a disposizione per la formazione della prova della sussistenza di nesso causale (esposizione all’amianto/morte), nonché di “esperto” di tali leggi, tale da poter decidere di escludere il nesso “per mancanza di una legge esplicativa, come si ricava proprio dal contrasto presente già a livello scientifico”.
Appare evidente l’enorme potere che la sentenza Daubert pone nelle mani del Giudice, il quale può pronunciarsi anche abbracciando tesi basate su leggi scientifiche da lui stesso non padroneggiate.